Vino e Fusa a go-go

Perché il degustaggio?

Perché inventarsi un enologismo, il degustaggio, per quella che è in pratica una degustazione di vini? Per marcare una differenza da cosa?

Siamo coscienti che non esista una “tipica degustazione”; con questa espressione ci riferiamo in modo retorico a tutto ciò che avviene in modo frontale, unilaterale e oggettivante. In queste occasioni il vino ha un valore oggettivo, mentre il Gusto e l’individuo scompaiono. Per quanto questo approccio possa sembrare necessario e ragionevole, nel corso della formazione risultano evidenti i suoi limiti: appiattimento verso giudizi omologati, sopravvalutazione dei brand ed esaltazione di vini rinomati, ma soprattutto un clima che non piace a un crescente numero di persone. Performativo oltre ogni logica e oltre ogni oggettività, per Cosa?

Con il degustaggio sperimentiamo approcci diversi, condivisi e gratuiti, almeno nella prima fase. Garantiamo il drinking basic income e il drunk kingdom. Un profilo che inserisce l’assaggio del vino nel suo ambiente culturale, sociale ed economico favorendone una comprensione immediata, che non necessita di una conoscenza del lessico specifico. Non partiamo dal calice per arrivare semplicemente alla conoscenza di ciò che contiene. Partiamo dalla vita per arrivare alla vite. La comprensione del contenuto del calice è praticamente immediata.

Capire un vino è una cosa, spiegarlo obiettivamente un’altra.

Siamo d’accordo sulla comprensione del vino, ma non sul resto. Non esiste obiettività in un calice, a meno che non si voglia considerarlo un aggregato chimico. Detto questo, l’ambiguità crolla nel momento dell’assaggio. L’oggettività del vino sparisce di fronte alla soggettività del gusto personale. Se ribaltassimo gli addendi della precedente affermazione ci renderemo conto della mostruosità. Non può sparire la soggettività umana di fronte alla potenza oggettiva di qualsiasi vino. Il vino non esiste in sé prima di diventare parte delle mire degustative di qualsiasi persona, sia che decida di aprire una bottiglia la sera o fra tre anni, per il fatto che il vino è nell’ambiente umano che lo circonda o lo circonderà. La fisiologia, la filosofia, la fisica sono unanimi su questo. La quotidianità come contesto, come momento, nell’umore, nell’evoluzione del gusto, nel senso della bevuta, ribadisce definitivamente questo scarto, l’essenza umana.

Il degustaggio in sé, come termine, non è dei più belli, ma l’onomatopeica desinenza finale ci riporta l’atmosfera d’un caotico pasticcio fanciullesco, caratteristica tipica dei giochi di quand’eravamo giovincelli. Ricordi datati, diapositive sbiadite che recano impresse le immagini del gioco innocente, tracotante, parzialmente competitivo, ma sostanzialmente cooperativo e altamente sporcante che riempiva i nostri pomeriggi (e i gomiti, le ginocchia e i vestiti di macchie e graffi). Quattro maglioni buttati sull’erba del campo, un filo del bucato sospeso fra due pali, un pallone per lo più sgonfio erano ingredienti sufficienti a compiere quel miracolo alchemico che materializzava una partita di calcio o di pallavolo ovunque, dai campi incolti all’androne delle scale. Il Gioco anche nella sua accezione “adulta” è oggi considerato un’arte nobile altamente nutriente per lo spirito, l’intelligenza e le capacità creative e relazionali. A questo ci rifacciamo per concretare la parola di degustaggio nel senso e nella pratica.